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Dopo il 1817, nel quartiere lecchese di Germanedo sorgeva un filatoio da seta e acqua con annessa casa di residenza appartenente alla famiglia Pecoroni che, proprio in quel periodo, iniziò la propria ascesa economica. In particolare è con Pietro Pecoroni, figlio di un possidente e negoziante lecchese, che il precedente proprietario della vasta particella su cui il filatoio verrà poi costruito, Marco Invernizzi, stipula un accordo che include il vitalizio su alcuni beni superstiti. Vale la pena notare che secondo l’atto notarile datato gennaio 1817, l’intesa coinvolge diversi fondi in Germanedo: un bosco detto Selva, l’appezzamento detto Badello e soprattutto un coltivo con viti detto Pomarolo, cinto di muro a calce con casa civile e da massaro detta il Palazzo con torchio di vino.
È proprio sul lembo della tenuta Pomarolo che la famiglia Pecoroni costruirà l’omonima filanda, accanto al Palazzo che, per l’accordo stipulato, rimane per metà in godimento ai precedenti proprietari, vita natural durante. Pecoroni corrisponde inoltre un vitalizio agli Invernizzi, nella cui diponibilità restano alcuni locali della residenza: “A piano terreno, una cucina ed altra stanza grande ad uso di dispensa e piccola stanza ove è la fontana (ad uso comune col Pecoroni dal portico); al primo piano tutti li superiori fino al tetto sopra il detto piano terreno, cioè cominciando dalla sala grande e stanze seguenti che restano alla dritta sulla scala salendo sotto il portico. Tutto il restante della dettà Casa Civile ed ad uso massarizio resterà del Sig. Pecoroni” (AsCo, Atti dei Notai, 5668).
In definitiva, il contratto di vendita Invernizzi/Pecoroni è il punto di svolta per un accorto economico di grande importanza, che nel 1818 si traduce nell’ulteriore acquisto, da parte di Pecoroni, di nove mappali a Germanedo, per un totale che arriva ad ammontare a ben sessanta pertiche. È facile comprendere che Pecoroni avesse dunque la disponibilità economica per realizzare questo genere di affari ma, d’altro canto, l’intera famiglia godeva da tempo di prestigio e di stabilità: il padre Francesco Maria Pecoroni, un negoziante, aveva infatti aderito con entusiasmo al governo cisalpino, e aveva da esso ottenuto anche la carica di Ispettore di Finanza a Varese, con conseguente lauta indennità annua.
I figli di Francesco Maria seguono un percorso simile, in termini di simpatie politiche: il primogenito Bartolomeo parte volontario come sottufficiale nel 1° Reggimento degli Ussari, il fratello Giuseppe chiede l’esonero dal servizio militare, mentre Pietro viene appaltato dalla Deputazione dell’Estimo di Lecco il rifornimento di viveri e foraggio alle truppe francesi e italiche, sia di passaggio che stazionate. Pietro procura così riso, sale, carne, vino, pane, legna e foraggio per oltre ventiduemila lire, di cui riesce infine a ottenere il saldo dopo faticose traversie burocratiche. La moglie, Maria Arrigoni, è attenta e avveduta a sufficienza da occuparsi con successo della gestione del patrimonio e, nel 1800, Pietro è premiato per la sua fedeltà repubblicana conseguendo i capitali per avviare nel 1813 una manifattura in cottonerie diverse, che prende slancio dopo la Restaurazione.
Grazie alla robustezza economica necessaria a dare vita alla propria ambiziosa impresa, con il supporto degli Invernizzi la famiglia Pecoroni dà il via a un progetto che cambierà il quartiere Germanedo per sempre.
Fonti e Bibliografia. Archivio di Stato di Bergamo (AsBg), Atti dei notai, 12122. Archivio di Stato di Como (AsCo): Atti dei notai, 5668; Camera di Commercio, 144, Notifiche esercizi del Circondario di Lecco; Catasto, Germanedo, Libri partitari; UTE, Germanedo, Volture. Archivio di Stato di Milano (AsMi): Atti dei notai, Ultimi versamenti, 318; Catasto Teresiano, Lecco, mappa preparatoria. Archivio Storico Civico di Milano (AscMi), Famiglie, 1135. F. D’Alessio, Transumanze… immobiliari: Stoppani e Pecoroni tra botteghe, palazzi e cererie, in Archivi di Lecco, I, 2017, pp. 118-121; A. Garlandini, M. Negri (a cura di), I monumenti storico-industriali della Lombardia: censimento regionale, Milano 1984, pp. 243-244.
Si ringraziano in particolare lo storico Cristian Bonomi, Barbara Cattaneo (Direttrice scientifica del Sistema Museale Urbano Lecchese – Si.M.U.L) e l’ing. Francesco D’Alessio.
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